
“Un imprevisto alla festa ”
Siamo partiti dalla lettura di Deuteronomio 16:13/15 in cui viene descritta la festa delle capanne, secondo gli studiosi una festa molto più sentita della Pasqua per gli Ebrei. Veniva detta anche festa del raccolto perché Dio esortava a raccogliere i frutti dei propri terreni, o anche festa del tabernacolo perché lì vi si recava il popolo durante l’ultimo giorno per celebrare la festa.
La festa delle capanne ricorda il lungo periodo durato 40 anni che il popolo d’Israele visse nel deserto. Secondo gli studiosi il popolo avrebbe dovuto impiegare circa 50 giorni per attraversare il deserto e raggiungere la terra promessa o al massimo, considerando qualche avversità, 4 mesi. Come mai invece impiegarono 40 anni? Il motivo era la disubbidienza del popolo d’Israele che durante questi anni non fece altro che lamentarsi e rimpiangere tutto ciò che aveva lasciato in Egitto, chiedendo di voler tornare indietro o lamentandosi di qualsiasi cosa.
Mosè, che nella parola di Dio è descritto come l’uomo più mansueto sulla faccia della terra, fu costretto a subire ogni giorno queste lamentele. Il popolo d’Israele che quotidianamente, nonostante fosse nel deserto, assisteva ai continui miracoli di Dio come: l’acqua che sgorgava dalle rocce, la manna che cadeva dal cielo, la nube che li copriva dal sole e tanto altro, non faceva altro che pensare al passato addirittura rimpiangendo le cipolle che mangiavano in Egitto. Purtroppo molti in mezzo a noi si accontentano “delle cipolle” piuttosto che cercare il soprannaturale.
Durante la festa delle capanne il popolo doveva costruire delle piccole capanne in cui alloggiare per 7 giorni. Queste capanne potevano essere di legno o fatte con le foglie delle palme ed il tetto doveva essere costruito per metà. Dio proibiva di costruirle coi mattoni perché questo popolo era definito “nomade”, senza fissa dimora, per cui doveva conservare la cultura di sentirsi solo un passeggero sulla terra. Questo ci fa capire di non mettere radici, di non sentirci legati a nulla su questa terra perché la nostra vera vita sarà nel cielo… è lì che dobbiamo costruire! Tra l’altro il periodo durante il quale cadeva questa festa era ottobre, stagione di freddo e piogge in Israele.
Possiamo immaginare la preoccupazione del popolo costretto a costruire con del materiale mobile e vivere per sette giorni in una capanna col tetto a metà. Ma questo ci insegna ad essere ubbidienti ed affidarci a Dio perché sarà Lui a proteggerci. Anche oggi l’insegnamento è lo stesso: come arriverò a fine mese? Come riusciró a sposarmi? Cosa accadrà ai miei figli? … Non basarti sulle tue certezze ma affidati a Dio!
La festa delle capanne si conclude con un ultimo giorno, l’ottavo, in cui il popolo disfaceva e bruciava le capanne per poi abbandonarle e recarsi al tabernacolo o al tempio a celebrare la grande festa della raccolta. Tutti mettevano dei cibi in comune e li mangiavano insieme. Ma la vera protagonista di questa festa era l’acqua poiché nel deserto il problema principale era trovare acqua per dissetarsi. Col tempo all’acqua si è sostituito il vino per poter festeggiare e brindare al tempo passato nel deserto, come per esorcizzarlo e dire : “Che non accada mai più, non avremo più sete, mai più ci sarà il deserto”. Mentre si festeggiava e si brindava accadde qualcosa di imprevisto: Gesù era lì , si alzò in piedi e gridó dicendo: “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, dal suo seno sgorgheranno fiumi di acqua viva”. (Giovanni 7:37-38)
Se qualcuno ha sete, corra da Gesù e beva quell’acqua che lo disseterà per l’eternità! Molti cristiani nonostante frequentino la chiesa, sentono sempre un senso di vuoto, ma sappiate che se beviamo da questa fonte ci sentiremo ripieni per sempre. Gesù ci offre l’acqua, la speranza e la vita eterna… Questo fiume che sgorga da Lui è una fonte che mai si prosciugherà e se beviamo da essa anche dalla nostra vita sgorgheranno fiumi di acqua viva!
Dio ci benedica
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